I signori della neve / Le origini

Scritto da Antica Dolceria Bonajuto ,
il 21 Giugno 2017

Il brano di seguito pubblicato è tratto dal libro Storia della cioccolateria più antica di Sicilia. Scritto da Giovanni Criscione. Edito da Edizione d’Arte Kalós nel 2013.


Nell’agosto 1801 alcuni modicani che si trovavano per lavoro a Palermo appresero che un loro stimato concittadino era ricoverato in fin di vita nel locale Convento e Ospedale di San Pietro in Vincoli, noto anche come Spedale de’ Bonfratelli. Si trattava di don Vincenzo Bonajuto, un personaggio assai noto nella Contea. Cinquantacinque anni, notaio, procuratore di Maria Teresa Sylva y Mendoza, ultima contessa di Modica, Vincenzo Bonajuto discendeva da un’antica famiglia di origine valenziana giunta in Sicilia nel XIII secolo sotto re Pietro d’Aragona. Vincenzo era nato a Siracusa nel 1746 da Natale, uno dei più importanti architetti siciliani dell’ultimo trentennio del Settecento, attivo soprattutto a Caltagirone, e da donna Dorotea Bonajuto, sua cugina. Natale aveva avuto diversi figli. Solo due, però, erano sopravvissuti: Rosalia e, appunto, Vincenzo.

Cinquantacinque anni, notaio, procuratore di Maria Teresa Sylva y Mendoza, ultima contessa di Modica, Vincenzo Bonajuto discendeva da un’antica famiglia di origine valenziana giunta in Sicilia nel XIII secolo sotto re Pietro d’Aragona

 

Stemma in terracotta della famiglia Bonajuto (metà dell’800)

A metà degli anni Settanta, i Bonajuto si erano trasferiti per breve tempo a Modica, come si evince da un inciso nel dotale di matrimonio del figlio («giugali di Siracusa abitatori di questa Contea, e in questa Città di Modica»). Qui, nel febbraio 1776, Vincenzo aveva sposato Rosalia Aprile, figlia del notaio Michele e di Vincenza Scucces. Il contratto matrimoniale era stato stipulato il 10 gennaio 1776 nello studio del notaio Vincenzo Livia, alla presenza delle parti, dei testimoni Antonino Floro Bellofiore, Saverio Ventura e del notaro Orazio Amore. Michele Aprile aveva istituito una dote di 300 onze «per decorazione e sostegno del matrimonio».

La dote, straordinariamente ricca, era così composta:
«Tante case esistenti in questa Città quartiere Cartillone, e questa della Venerabile Parrocchiale Chiesa di Nostra Signora del Soccorso confinante con case di detto Notaro Dotatore, e vie pubbliche di sotto e di sopra» per un valore di 60 onze.
Trenta onze «in prezzo di vigne in questo territorio e questa delle Terre Cannata, e di quelle vigne piantate dal detto dotatore nella possessione cosi detta Terre Cannata».
Altre 60 onze «in prezzo di numero 18 protocolli di Notaria degli atti del fu Notaio Biaggio Scucces con suoi venimechi».
Oltre a ciò, 60 onze di oggetti d’oro, argento, rame e stagno lavorati; mobili, utensili, «stigliame, ed arnesi di casa»; onze 36 per due anni di alimenti «che deve contribuire in propria casa detto Notaro Dotante alli detti sposi».

Don Michele aveva poi destinato 12 onze per far sì che il genero studiasse e ottenesse «il Privileggio di Notaro pubblico di questa Contea». Della dote facevano parte ancora 60 onze «in denaro, e fromenti» sui legati pii di Matteo Pupillo, don Giuliano Lo Cereo, Cataldo Civello o di Pietro di Lorenzo Busacca.6 Lo sposo, invece, aveva portato in dote 20 onze.
Dal matrimonio con Rosalia erano nati dieci figli. Dalle loro fedi di battesimo, trascritte nei Libri baptizatorum della locale chiesa di Santa Maria del Soccorso e oggi conservate nell’archivio parrocchiale della chiesa di San Pietro, risulta che la famiglia abitava nella strada Cartellone, in una delle case donate dal suocero. Il 19 giugno 1782, Vincenzo aveva ottenuto il privilegio di notaio e intrapreso un cursus honorum che lo aveva portato a divenire «notar apocario», segretario della Gran Corte, avvocato fiscale e vicesegretario della Segrezia (1798). Al culmine della carriera guadagnava 32 onze annue.

Nei primi di agosto 1801, per «ottenere gratificazione dei servigi prestati alla Contessa di Modica», Vincenzo partì alla volta di Palermo. Era arrivato solo da pochi giorni nella capitale dell’Isola, quando fu colto da un malore. Il 9 di quel mese fu ricoverato «ammalato con febbre» nell’Ospedale dei Fatebenefratelli. Le condizioni di salute si aggravarono però rapidamente.

Il 19 giugno 1782, Vincenzo aveva ottenuto il privilegio di notaio e intrapreso un cursus honorum che lo aveva portato a divenire «notar apocario», segretario della Gran Corte, avvocato fiscale e vicesegretario della Segrezia (1798)

La notizia del suo ricovero si diffuse subito tra i paesani in trasferta a Palermo, e alcuni di loro andarono in ospedale per fargli visita e assisterlo. Tra questi c’erano: il sacerdote don Santo Fede, suo vicino di casa in strada del Cartellone; Antonino Bonavia, corriere; Ignazio Clemente Marcantonio, campiere; Vincenzo Morales, bordonaro. I quattro compaesani, diciannove anni dopo, resero una testimonianza giurata, facendo luce sugli ultimi istanti di vita di don Vincenzo.

Un angolo del quartiere Cartellone

Il sacerdote Fede raccontò che
trovavasi nella città di Palermo ove anche trovavasi il notaio don Vincenzo Bonajuto […] ed essendosi quest’ultimo ammalato il Fede continuamente l’assisteva ed asserisce che finalmente il cennato di Bonajuto alla mattina di 25 agosto di detto anno se ne morì.
Anche il corriere Bonavia
intese dire da Paesani che ivi trovavansi, che stava per morire il sopradetto notaio Bonajuto suo paesano e conoscente, e portatosi nello Spedale dei Bonfratelli ivi trovò il sacerdote don Santo Fede, Ignazio Clemente, Vincenzo Morales ed altri paesani che assistevano alla morte di suddetto notaio e quindi alla mattina di 25 di detto mese agosto passò di questa all’altra vita.
La notizia giunse alle orecchie del campiere Marcantonio, che lavorava le
terre del conte di Modica. Egli,
sentendo dire che moriva il notaio don Vincenzo Bonajuto ufficiale del suddetto Conte di Modica si portò nell’Ospedale dei Bonfratelli.
Qui trovò anche il bordonaro Morales, il quale
in occasione di aver inteso che alli Bonfratelli moriva il notaio don Vincenzo Bonajuto si portò colà e vidde che passò da questa all’altra vita. 

Don Vincenzo Bonajuto, circondato dalle cure dei compaesani, chiudeva così la sua esistenza in un letto d’ospedale a Palermo.


Dal 2018 la denominazione “Cioccolato di Modica” è esclusivamente riservata al prodotto IGP, Antica Dolceria Bonajuto dopo attenta riflessione ha deciso di non aderire al regime di controlli pertanto il cioccolato da noi prodotto non può più essere definito “di Modica”, per approfondimenti clicca qui.


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