Introduzione. Storia della cioccolateria più antica di Sicilia

Scritto da Antica Dolceria Bonajuto ,
il 20 Giugno 2017

Il brano di seguito pubblicato è tratto dal libro Storia della cioccolateria più antica di Sicilia. Scritto da Giovanni Criscione. Edito da Edizione d’Arte Kalós nel 2013.


La dolceria Bonajuto di Modica, in provincia di Ragusa, è la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia ancora in attività e una delle più antiche d’Italia, con oltre centocinquanta anni di storia. Essa deve gran parte della sua notorietà a quel cioccolato artigianale premiato con la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Roma del 1911. Oggi quella barretta, sapientemente rilanciata sul mercato dopo alcuni anni di sordina, è diventata un prodotto di eccellenza, annoverato tra le migliori ottanta qualità di cioccolato al mondo. Non solo. Il riposizionamento della barretta prodotta da Bonajuto ha fatto da apripista al boom del cioccolato artigianale di Modica, esploso a partire dagli anni Novanta del Novecento. Negli ultimi venti anni, il cioccolato artigianale di Modica è stato protagonista di uno straordinario successo gastronomico e commerciale. Gastronomico, perché ha conquistato un pubblico sempre più ampio, sia da solo che negli abbinamenti più raffinati dell’alta cucina internazionale. Commerciale, perché è possibile trovarlo nei più esclusivi negozi di prelibatezze in Europa, Asia, Australia e nell’America del Nord.

La dolceria Bonajuto di Modica, in provincia di Ragusa, è la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia ancora in attività e una delle più antiche d’Italia, con oltre centocinquanta anni di storia.

Alla base di questo successo internazionale vi sono diversi fattori, non ultimo il fatto di essere una curiosità dolciaria unica al mondo. Solo il cioccolato a la pedra che si produce in Spagna e il chocolate de metate dell’America Centrale, presentano qualche somiglianza con la barretta modicana. Ciò che differenzia il cioccolato di Modica da altri prodotti artigianali è che non contiene aggiunte di burro di cacao, oltre a quello naturalmente presente nelle fave. La lavorazione, effettuata a temperature non superiori a 45 °C, scioglie il burro ma non lo zucchero, conferendo alla barretta la tipica consistenza ruvida e granulosa. Come emergerà dalla trattazione, le storie del cioccolato di Modica e della dolceria Bonajuto appaiono intimamente legate. La barretta artigianale costituì fin dall’Ottocento la spina dorsale della produzione dolciaria della cioccolateria modicana che, in tempi recenti, ha avuto il merito di rilanciarla sul mercato e promuoverla su vasta scala.

Partendo da queste considerazioni, nel presente lavoro ho cercato di ricostruire le vicende della famiglia Bonajuto e la loro storia imprenditoriale dall’Ottocento ai nostri giorni, basandomi su documenti nella maggioranza dei casi inediti. La complessità della ricerca, che unisce gli aspetti genealogici e storico-biografici dei singoli imprenditori alla descrizione delle caratteristiche economiche, organizzative e tecniche dell’impresa, dei suoi prodotti e dei processi di produzione, si riflette nella molteplicità e varietà delle fonti utilizzate. Purtroppo, l’archivio d’impresa della dolceria Bonajuto (d’ora in poi Archivio Bonajuto-Ruta) è in gran parte andato perduto. La rimanente documentazione può suddividersi in due categorie: gli arnesi e gli arredi di bottega e i documenti cartacei. Alla prima categoria appartengono formelle, strumenti di lavoro, mobilio e arredi, per lo più utilizzati per ricreare la bottega dell’antica dolceria nel locale Museo etnografico “Serafino Amabile Guastella”, raro esempio di efficace allestimento museale della cultura materiale, delle arti e dei mestieri scomparsi. Nell’altra categoria si trovano invece atti notarili, cambiali e quietanze; certificati di nascita, battesimo, matrimonio, morte e stato di famiglia, fotografie e documenti in serie discontinue che vanno dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta del Novecento, la medaglia d’oro e il diploma rilasciati dall’Esposizione internazionale agricola industriale di Roma nel 1911 e l’incartamento per l’adozione della ventiseienne Rosa Roccaro da parte della vedova di Francesco Bonajuto.

Questi documenti rivestono un’importanza fondamentale, poiché il matrimonio tra la figlia adottiva di Francesco Bonajuto e Carmelo Ruta, già apprendista nella sua dolceria, costituisce l’anello di congiunzione tra la storica casa di cioccolatieri e la famiglia Ruta, che ha quindi ereditato l’azienda. Per gli anni più recenti, infine, le interviste con Franco e Pierpaolo Ruta e gli articoli apparsi sulla stampa nazionale ed estera, archiviati sul sito internet dell’azienda, si sono rivelati preziosi.7Così è stato possibile ricostruire la storia imprenditoriale della famiglia nell’arco di sei generazioni, in una cornice cronologica che va dalla fine dell’ancien régime ai nostri giorni.

Tobias Conrad Lotter, Mappa geographica totius insulæ et Regni Siciliæ, XVIII sec.

Proprio alla transizione dall’antico regime all’età contemporanea gli storici fanno risalire l’inizio della decadenza di Modica. La Contea, fondata con privilegio martiniano nel 1392, divenuta uno dei maggiori Stati feudali dell’Isola per estensione territoriale, popolazione ed eccezionalità di privilegi, sotto i Borbone subì il declassamento da capitale a capoluogo di circondario della Valle di Siracusa. Al declino della vecchia aristocrazia corrispose l’ascesa della nuova borghesia delle professioni, terriera e commerciale. Dal mondo delle professioni provenivano appunto i Bonajuto, famiglia siracusana di capimastri e architetti. Il più noto fu Natale Bonajuto, attivo in vari centri della Sicilia sud-orientale e protagonista della rinascita architettonica di Caltagirone nella seconda metà del Settecento. La sua vicenda esula dalla trattazione, ma l’importanza del personaggio è tale da esigere almeno una scheda biografica.

Natale (Siracusa, 1724 – Caltagirone, 1794) era figlio di Carmelo, capomastro dei fabbri murari di Siracusa, e Giovanna Cupri. Nel 1750 sposò Dorotea Bonajuto, sua parente. Lavorò a Siracusa, Palazzolo, Sortino, Ragusa, Modica, Pozzallo, Vizzini e Caltagirone, formando diversi giovani alla professione10 e realizzando opere che stilisticamente si collocavano nella transizione dalle fastose forme del primo Settecento ai composti ritmi neoclassici. Nel 1773-74 fornì al Privitera il disegno per l’altare della chiesa di San Domenico a Modica. Dal 1769 si stabilì a Caltagirone dove, con l’incarico di architetto del Senato calatino (1778) e poi della Regia Deputazione delle Opere pubbliche, progettò e diresse i lavori di numerose opere monumentali. Fu impegnato nei lavori più disparati, come rilievi cartografici, tra cui quello del litorale della Contea di Modica, piante di feudi, progetti per costruzioni di strade, ponti e mulini a vento, restauri di chiese, campanili, corsi d’acqua e perizie di illuminazioni.

Uno di loro, Francesco Ignazio Bonajuto (1798- 1854), aprì in rapida successione un’aromateria, una merceria e una sorbetteria-gelateria. Con lui inizia l’avventura imprenditoriale dei Bonajuto a Modica.

Il figlio Vincenzo si trasferì a Modica, sposò la figlia di un notaio del luogo e divenne anch’egli notaio, rivestendo importanti incarichi nell’amministrazione della Contea. Morì prematuramente nel 1801 a Palermo, lasciando la moglie e dieci figli. Uno di loro, Francesco Ignazio Bonajuto (1798- 1854), aprì in rapida successione un’aromateria, una merceria e una sorbetteria-gelateria. Con lui inizia l’avventura imprenditoriale dei Bonajuto a Modica. L’esercizio commerciale, originariamente ubicato nella via Collegio (attuale via Garibaldi), venne poi trasferito al pianterreno di Palazzo Linguanti, nei pressi del ponte di San Pietro, dove rimase fino al 1913. In un quadro storico caratterizzato da dazi di consumo, cinte daziarie, retaggi medievali e privilegi corporativi, Francesco Ignazio cercava di “verticalizzare” il ciclo produttivo, integrando le fasi di approvvigionamento della materia prima, del trasporto, della fornitura per l’appalto comunale, della vendita all’ingrosso e al dettaglio, della lavorazione e commercializzazione del prodotto finito.

Centrale fu il commercio della neve, che gli consentì di accumulare capitali notevoli e di ampliare la gamma delle attività di produzione di cioccolato e la dolceria. La vendita di «cacaos», zucchero, vaniglia e cannella, «cioccolata fina» (in polvere) e cioccolato solido, ha interessato l’aromateria fino agli anni Venti dell’Ottocento, ma la presenza del «fattojo del ciccolatte», torchio rudimentale per macinare le fave di cacao, segna il passaggio nei primi anni Cinquanta dalla semplice vendita alla produzione diretta. Già a metà Ottocento, Bonajuto esercitava il controllo della filiera del cioccolato, dalla lavorazione delle fave di cacao alla pasta amara, fino al prodotto finito. Inoltre, produceva agrumi salamoiati in barili, come il cedrato, che esportava. Francesco Ignazio attuò una gestione dinamica delle risorse e compì spesso scelte azzardate. Alla sua morte, lasciò al figlio Federico (1822-1899) l’attività gravata da debiti. Queste vicende costituiscono l’oggetto del primo capitolo, I signori della neve, che traccia anche uno spaccato inedito dell’economia della neve, un’attività all’epoca particolarmente fiorente ma che scomparve con l’avvento della produzione industriale del ghiaccio. Il saggio fornisce altresì un contributo di conoscenza alla storia del territorio, con le sue vicende economiche, i percorsi di ascesa sociale, la diffusione dei consumi, gli antichi mestieri, la storia materiale e la formazione delle maestranze.

Il secondo capitolo, L’epopea del cioccolato, ricostruisce la storia di Federico, imprenditore della seconda generazione, il quale riuscì a risollevare le sorti dell’azienda, spostandone gli interessi dal commercio della neve all’attività di «gelatiere» e «cioccolatiere». Non a caso, nell’atto di matrimonio del 1856, sotto la voce “condizione professionale”, è indicato come «cioccolatiere». Le scelte compiute da Federico possono sollevare alcune domande. Perché si concentrò sulla produzione di cioccolato? Dove svolse l’apprendistato necessario per esercitare il mestiere di cioccolatiere? Quali erano le origini della ricetta con cui ancora oggi Bonajuto produce la barretta artigianale? Perché i metodi di lavorazione rimasero artigianali? Alcune ipotesi e risposte possono essere già anticipate, ma saranno articolate e argomentate nelle pagine seguenti.

Il secondo capitolo, L’epopea del cioccolato, ricostruisce la storia di Federico, imprenditore della seconda generazione, il quale riuscì a risollevare le sorti dell’azienda, spostandone gli interessi dal commercio della neve all’attività di «gelatiere» e «cioccolatiere». Non a caso, nell’atto di matrimonio del 1856, sotto la voce “condizione professionale”, è indicato come «cioccolatiere».

Il business della neve si avviava al tramonto, mentre quello del cioccolato era in espansione in tutta Europa. Il mancato passaggio alla fase industriale dipese inizialmente da motivi economici, come la mancanza di capitali, la ristrettezza del mercato locale, l’incidenza della produzione domestica, ecc. Questo spiega anche perché la bottega, messa in piedi da Francesco Ignazio e dal figlio Federico, mantenne le caratteristiche di un’attività artigianale. Ragioni affettive, quali l’attaccamento ai metodi di lavorazione manuale del cioccolato, la passione per il proprio lavoro, l’accumulazione delle conoscenze e la volontà di non disperdere quel patrimonio, la fedeltà alla tradizione di famiglia, servirono per costruire una vera e propria filosofia aziendale. L’apprendistato in bottega costituì il mezzo di trasmissione delknow-how da una generazione all’altra, ma anche uno strumento di formazione e di crescita sia umana che professionale. Così Federico, che aveva appreso dal padre i segreti dell’arte cioccolatiera, li trasmise a sua volta al figlio Francesco (1861-1932), che nel 1880 aprì il Caffè Roma, trasferì l’attività nell’attuale sede di corso Umberto I n. 159, e produsse un cioccolato così raffinato da meritare la medaglia d’oro all’Esposizione internazionale agricola industriale di Roma del 1911.

A differenza del nonno Francesco Ignazio e del padre Federico, imprenditori “borghesi” che perseguivano ideali quali l’agiatezza, l’abilità negli affari, il senso della famiglia, l’amore per l’azienda e il comando, Francesco incarnò una nuova figura d’imprenditore, che anteponeva i valori sociali e solidaristici a quelli individuali. Nel marasma del primo dopoguerra, Francesco si tolse i grembiule da dolciere e si gettò nella mischia politica, impegnandosi come consigliere provinciale del Partito Socialista nell’autunno del 1920, ed esponendosi in seguito alle ritorsioni dei fascisti. Schedato dalla polizia come sovversivo, rimase nel partito di Matteotti fino al 1925. Con l’avvento del fascismo si ritirò dalla politica per dedicarsi esclusivamente al proprio lavoro. Don Ciccio, com’era familiarmente chiamato, affrontò le più pressanti sfide della modernità. Sostituì al negozio-bazar, dove le merci si accumulavano alla rinfusa, una bottega specializzata, ben curata dal punto di vista della conservazione e dell’esposizione della merce, della contabilità aziendale e della pubblicità. Introdusse sul mercato nuovi prodotti dolciari fino a quel momento relegati nella produzione domestica. Si preoccupò di formare i garzoni di bottega. Intuì l’importanza della pubblicità sulle pagine dei giornali e cercò di fare del proprio locale un luogo di discussione, aperto non solo ai nobili e al clero ma a tutte le fasce sociali. Partecipò a fiere ed esposizioni che costituivano la nuova frontiera del commercio. Meccanizzò alcune fasi del processo di lavorazione, acquistando un dispositivo di fabbricazione francese per macinare le fave di cacao. Nonostante ciò, rimase fedele alle ricette della tradizione.

Francesco incarnò una nuova figura d’imprenditore, che anteponeva i valori sociali e solidaristici a quelli individuali.

Morì nel 1932 senza figli, lasciando un deficit legato non tanto a una cattiva gestione dell’azienda quanto piuttosto alle sue attività filantropiche. Il terzo capitolo, Tra continuità e novità, ricostruisce le vicende successive, legate al passaggio della ditta a Carmelo Ruta. La vedova di Francesco Bonajuto, Carmela Di Martino, all’inizio, gestì personalmente l’attività. A differenza delle altre figure femminili della famiglia, lontane dalla partecipazione alla vita dell’azienda, Carmela assunse la direzione dell’impresa. Per garantirle una stabilità, adottò Rosa Roccaro, un’orfana di guerra cresciuta in casa Bonajuto proveniente da una famiglia poverissima, e le intestò i propri beni. In tal modo, Carmela esaudiva un desiderio espresso già dal marito, che voleva assicurare una continuità all’azienda e un futuro all’adorata bambina, da sempre trattata come una figlia. La giovane Rosa, sposando nel 1942 Carmelo Ruta, uno dei più capaci e fidati collaboratori di Francesco Bonajuto, consentì, in un quadro di sostanziale continuità, il passaggio dell’azienda da una famiglia all’altra.

In questo passaggio, fu scrupolosamente conservato il carattere artigianale delle produzioni. Come un albero cambia le foglie secondo il ritmo delle stagioni, restando saldamente piantato sulle sue radici, così l’impresa si trasformò negli anni, senza cambiare la propria natura. A Carmelo Ruta toccò l’arduo compito di traghettare l’azienda dal dopoguerra alla fine del Novecento e fronteggiare l’affermazione della produzione dolciaria industriale.

A differenza delle altre figure femminili della famiglia, lontane dalla partecipazione alla vita dell’azienda, Carmela assunse la direzione dell’impresa.

Alla sua morte (1992), il figlio Franco e il nipote Pierpaolo (Carmelo all’anagrafe) subentrarono nella gestione della dolceria, come racconta il quarto capitolo, Un successo che viene da lontano. Franco Ruta (n. 1943) ha preso così le redini dell’azienda di famiglia portando il cioccolato di Modica alla ribalta mondiale. Oggi è considerato uno dei maggiori esperti italiani nel settore. «Pasticceria Internazionale», la rinomata rivista dei professionisti del dolce, scrive: «I meriti di Franco Ruta sono innumerevoli. A lui si devono la salvezza e il recupero delle antiche ricette della provincia, […] gli studi sulla presenza del cioccolato in Sicilia e sulla sua lavorazione senza concaggio». Inoltre, è suo il merito di aver innescato il boom economico del cosiddetto “oro nero di Modica”. Il capitolo analizza anche la struttura organizzativa, la tecnica di lavorazione, la scelta e l’approvvigionamento delle materie prime, la diversificazione dei prodotti, la distribuzione e i canali di vendita, l’attività di marketing e comunicazione, e le logiche di gestione che hanno portato l’Antica Dolceria Bonajuto a essere una delle più note aziende siciliane del settore dolciario artigianale.

Sono tante le persone che mi hanno aiutato a scrivere questo libro. Marco Blanco si è dedicato alla ricerca genealogica negli archivi parrocchiali. Suo il merito di aver ricostruito l’albero della famiglia Bonajuto-Ruta; preziosa la sua consulenza, per la gastronomia locale e l’uso di voci dialettali. Rosario Di Stefano ha contribuito alle ricerche archivistiche. I fratelli Giovanni e Antonio Di Raimondo hanno condiviso foto rare e cartoline d’epoca della loro collezione privata.

Il personale degli Archivi di Stato di Modica, Ragusa e Siracusa, i sacerdoti Giovanni Stracquadanio (archivio parrocchiale di San Giorgio, Modica), Corrado Lorefice e la signora Maddalena Fidone (archivio parrocchiale di San Pietro, Modica), Pietro La Rocca (Biblioteca diocesana “Pio XI” di Caltagirone) sono stati cortesi e disponibili.
Luigi Lombardo, Paolo Nifosì, Claudia Origoni e Fernanda Giudice, responsabili dell’Ufficio studi Fiera di Roma, mi hanno fornito rispettivamente utili informazioni sulla neve, sull’architetto Natale Bonajuto e sull’Esposizione internazionale di Roma del 1911. Il professor Giuseppe Barone, amico e maestro, oltre ad avermi dato preziosi suggerimenti di metodo, ha trovato il tempo per leggere il manoscritto e scrivere la prefazione al saggio. Marcella Smocovich mi ha inviato un bell’articolo che è pubblicato in appendice.
A tutti costoro va il mio sincero ringraziamento. Per finire, ringrazio Franco e Pierpaolo Ruta. Senza il loro contributo e incoraggiamento, questo lavoro non avrebbe mai potuto vedere la luce.


Dal 2018 la denominazione “Cioccolato di Modica” è esclusivamente riservata al prodotto IGP, Antica Dolceria Bonajuto dopo attenta riflessione ha deciso di non aderire al regime di controlli pertanto il cioccolato da noi prodotto non può più essere definito “di Modica”, per approfondimenti clicca qui.


Foto di copertina. Modica, veduta area. Di Luigi Nifosì.


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